Virus per computer che contaminano organismi umani, un cemento “simpatico” che cancella i graffiti dai muri, cani che fanno una pessima fine: “L’algoritmo bianco” aveva visto lungo…

Capita qualche volta che un libro anticipi la realtà. Anche la più cupa e visionaria. A onor del vero, alla fantascienza è stato sempre riconosciuto un ruolo profetico. Per un autore è comunque un piccolo vanto personale avere “azzeccato” una minuscola scheggia di futuro.
 
Con l’aiuto della cronaca – e quindi a posteriori – mi sono divertito, in compagnia di alcuni lettori attenti, a scoprire che cosa aveva “previsto” (o sarebbe meglio dire “intuito”) il mio ultimo Urania, “L’algoritmo bianco”. E con grande sorpresa mi sono imbattutto nel primo uomo “infettato” da un virus per pc, una notizia (poi ampiamente ridimensionata) che potrebbe aprire scenari inquietanti sul nostro futuro. L’Agoverso al momento non c’entra, ma da quanto si apprende non è affatto escluso che un domani uomo e macchina potranno contagiarsi a vicenda.
 
Gli angoscianti graffiti di “Picta muore!” hanno il proprio alter ego in un luogo reale: la città fantasma di Pripyat, in Ucraina, a due passi dal tristemente noto impianto nucleare di Chernobyl. Qui l'”intuito” è in realtà ignoranza mia: giuro, all’epoca della stesura della storia non avevo visto quei murales (e ringrazio l’amico Giovanni De Matteo di avermeli segnalati).
 
E che dire poi di Argleton, la città che non esiste. Non ricorda proprio Picta, la località che l’Agoverso, come autodifesa, vorrebbe fuori dal mondo? Laggiù, per le loro opere d’arte, i writer usavano particolari bombolette di “nanovernici”; oggi nei laboratori di chimica si affacciano “materiali intelligenti” che potrebbero essere usati, invece, dagli amministratori di condominio per ripulire i muri da ogni traccia di colore… I cani randagi che nel romanzo vagavano in cerca di una via di fuga dalle rovine della cittadina andavano ineluttabilmente verso un atroce e gelido destino, ahimé questo.