Anime e cartoon: due modi molto diversi d’intendere il cinema d’animazione, riflesso di culture, società e religioni distanti anni luce l’una dall’altra. Ma anche di un approccio tecnico profondamente condizionato dalle risorse a disposizione. Su Robot 61 un mio articolo sull’argomento.

Il sorpasso è ormai un dato ampiamente acquisito: nel mondo si vendono più manga che fumetti.  A ciò va aggiunto il fatto che già nel 2004, il 60% dell’animazione in circolazione era di produzione giapponese. E in sei anni, il divario si è fatto probabilmente ancora più netto, anche se la visibilità planetaria delle megaproduzioni Disney e Pixar ci indurrebbe a ritenere il contrario.
 
L’occidente ha quindi perso questa singolare guerra tra eroi della fantasia? La risposta non può che essere: a giudicare dai meri numeri, sì! Manga e anime hanno dilagato in campo avverso, facendo proseliti di lettori e spettatori ed erodendo in modo sensibile il mercato della controparte…  
 
I motivi di questo sfondamento a ovest? Lascio ad altri cimentarsi con le argomentazioni di marketing. Nel mio articolo “Anime e cartoon, gli alieni della tv”, pubblicato su Robot 61, mi soffermo invece sulle differenze tra gli uni e gli altri.
 
In che cosa differiscono i cartoon d’Oltreoceano e, più in generale, occidentali, dagli anime giapponesi? Fermo restando che questi e quelli sono espressioni di culture, società e religioni profondamente diverse tra loro, quali sono gli elementi fondanti che differenziano, caratterizzandoli, i personaggi animati americani da quelli del Sol Levante? E in che misura la tecnica ha fatto da cassa di risonanza di queste differenze? O le ha usate a proprio vantaggio?
 
cartoonist nipponici non disponevano delle risorse dei loro colleghi d’Oltreoceano. L’animazione limitata – 5 disegni al secondo rispetto ai 15 della media Disney – li indusse, così, a escogitare soluzioni tecniche particolarmente brillanti per dare ritmo all’azione e spessore psicologico ai personaggi. Insomma, la fame aguzza l’ingegno…
 
Ecco così affacciarsi per la prima volta nel campo dell’animazione espedienti mediati dal cinema, come l’adozione del primo piano (pressoché inesistente nei cartoon occidentali), il monologo interiore, la dilatazione temporale e soprattutto l’enfatizzazione del movimento attraverso le tecniche di ripresa. Proprio quest’ultima soluzione, che contravviene a una regola ferrea fino a quel momento mai messa in discussione – “In animazione non si deve mai muovere il disegno, ma disegnare il movimento” – segnerà un’autentica rivoluzione nel modo di realizzare cartoni animati. Con i risultati che abbiamo tutti sotto gli occhi…
 
Oltre che su Robot 61 (splendida la cover di Marco Patrito), potete leggere l’articolo completo sul mio Blog in 40k Books: qui.