Piove. Non è una novità nella Milano dei +toon. Ma all’acqua si mischia qualcos’altro. Chicchi di grandine. Caldi. Qualcuno sta divertendosi ai bordi di un ring clandestino… Ecco l’incipit del romanzo.

Don’t Feed the Toons
(scritta su un muro della Wet City)
 
Pgough!Il gancio arrivò duro come una sassata, entrò nella guardia, colpì all’occhio sinistro, aprì in due il sopracciglio. La testa del cinese partì all’indietro.
Sangue vaporizzato. Buio rosso.
Il cinese – un peso piuma di neanche diciassette anni – arretrò barcollando sulle gambe. Sentì le corde che gli mordevano la schiena. Aprì le braccia per trovare l’equilibrio.
Un errore.
Insaccò il capo, evitò per un niente un secondo gancio, buttò la testa di lato.
Uno-due. Lampi.
Zigomo destro, cartilagine del naso. Il paradenti volò fuori del ring con un fiotto di schiuma scarlatta.
Il cinese riuscì a stento a voltare le spalle all’avversario, si aggrappò alle corde, crollò sulle ginocchia. Un occhio completamente chiuso, l’altro ridotto a una fessura congestionata. Guardò nella penombra della palestra la sagoma scura a cavallo della panca. Il Mescolatore. Sollevò un braccio e cercò di scalare le corde per rimettersi in piedi. Forse cercò di parlare, di scusarsi. Supplicare.
“Basta così, Chan!”. La sagoma districò le gambe dalla panca di legno. Fece due passi rigidi verso il ring. “Dagli i guantoni e vai a farti una doccia”.
Il ragazzo si lasciò scivolare al tappeto. Non era ancora venuto il momento di scendere dal ring e infilarsi sotto il fiotto caldo, ora gli sarebbe toccata la parte peggiore. Schiena a terra, allungò le braccia verso l’alto: lassù, il neon della lampada era abbagliante e lui, sbattendo l’unica palpebra che ancora rispondeva ai comandi, lo fece sparire tra i guantoni. In controluce osservò i suoi pugni colmarsi all’istante di colori, le dita nere inguainate nella sostanza traslucida. Non era cuoio quello dei guantoni, ma materiale cartoon, calloso e umido come carne masticata. Ideale per boxare…
Chan girò la guancia di lato e sputò un grumo di bava rossastra. A quel punto non guardava mai.
Il viso affilato di un Wile E. Coyote si affacciò tra i guantoni e cominciò a morderne i lacci per allentarli. Aveva la pelle lucida come se avesse sudato e goccioline di sangue non suo che gli punteggiavano il muso.
Sfilato il primo guantone, lo spezzò con un morso a masticò rumorosamente il grosso boccone che si era trascinato in bocca. Insaporita dai pugni e dal dolore alle dita, la carne doveva essere una leccornia, perché il cartoon passò in pochi secondi all’altra mano, senza degnare l’avversario al tappeto di un solo sguardo.
Finito quello spuntino, si piegò sulle ginocchia e con la lingua lappò via il sangue dal viso del ragazzo.

 
L’uomo rimasto ai bordi del ring rigirò a lungo la cialda tra le mani. Era scritta su entrambe le facce (particolare di per sé anomalo), sgrammaticata e delirante. E anche parecchio appiccicosa, segno evidente che era stata prodotta da meno di un quarto d’ora, anche se non aveva la minima idea di chi fosse stato e né di come fosse riuscito a portarla lì senza che lui se ne accorgesse. L’aveva trovata sul pavimento della palestra, in mezzo alle panche per gli esercizi con i manubri.
Lesse e rilesse più volte il testo. Alzò gli occhi al ring illuminato.
Il ragazzo era sotto la doccia e la palestra puzzava di sudore stantio.
Non era mai una buona idea prendere sotto gamba il messaggio di un cartone. Il più delle volte erano stronzate infarcite di versi onomatopeici, stupide lamentazioni di creature dispettose, ma accadeva anche di trovarvi piccole perle di saggezza, squarci di disarmante lucidità, quando non addirittura precise e circostanziate previsioni sul futuro.
La cialda ancora fresca, da una parte, diceva: Il Sole di Bart si acciende! Dall’altra: Il Sole di Bart si spegnie! Impossibile dire quale delle due facce dovesse essere letta per prima.
“Che cazzo vuole dire?” chiese rivoltò al Wile E. Coyote ritto sotto la lampada a centro ring.
Come se gli fosse venuto un crampo improvviso, il cartone si piegò tenendosi lo stomaco. Quando si sollevò aveva tra le mani una nuova cialda, estromessa da chissà dove.
La lanciò di taglio oltre le corde.
Il Mescolatore la raccolse. Era scritta da una parte sola. Sopra un’unica parola lunghissima: Lapurgaèarrivata.
 
(per gentile concessione di Mondadori)