Il re italiano dell’horror, Gianfranco Nerozzi, è l’autore della prefezione di “WAR – Weapons. Androids. Robots”. Sua è anche l’etichetta che ha voluto affibbiare a un vecchio amico, che conosce da qualcosa come 25 anni. Lo ringrazio di cuore…

 Il Terminator della malinconia

di Gianfranco Nerozzi
 
Il futuro ci attende, lo sappiamo. E dietro all’angolo ci sono nuovi incubi da svelare.
Certi scrittori sono come gli sciamani. Razzolando nel dolore e nelle viscere del mondo cercano di descrivere un disegno futuro, usando le parole, come fossero sortilegi.
 
Stiamo parlando di rituali magici e di visioni per comprendere meglio il senso della vita e della morte, niente di più, niente di meno. Forme di preveggenza. Qualcosa di collegato sempre e comunque ad un ricordo. Un background interiore che determina la creazione di un mondo nuovo partendo sempre dal vecchio. Così anche io, adesso, voglio partire con la rimembranza di un tempo che fu, il ricordo di un’altra prefazione, in un’altra dimensione…
 
 “Lo scenario è quello della guerra. La colonna sonora: il ritmo ossessivo di un rap dei Fat Boy Slim. I protagonisti: un gruppo di soldati frutto di un esperimento allucinante. Tranci di carne in decomposizione e di metallo”.
 
Poche righe che scrissi per presentare un racconto uscito nel lontano 2003 in una mitica antologia di horror contemporaneo da me curata che s’intitolava In fondo al nero. E adesso, che sembra passato un secolo da allora, il Necroware, così come  l’universo malato che si porta dietro (davanti, e in ogni luogo!) colpisce ancora, neanche fosse un Impero. E lo fa tramite un autore: Dario Tonani, che ha saputo ritagliarsi un ruolo importante nel panorama letterario italiano, un tipo di scrittore in grado di travalicare il tempo e lo spazio.
 
Il suo immaginario è privo di confini e lo stile impeccabile. Così come straordinaria la sua capacità di creare mondi e contro-mondi. Di alterare la realtà e di spiegarcela come se fosse una favola e nello stesso tempo imprigionandoci in un contesto iper globale di riesumante cronaca sociale. Tutto ciò si chiama, al di là dei paroloni promozionali e delle circostanze nostalgiche: capacità intrinseca di coinvolgere ed ammaliare. Disturbando e pretendendo, Tonani è in grado di prendere il lettore per mano per trascinarselo dietro: con lui, per lui, nella sua storia come parte integrante, coinvolto nel mix di paura e delirio.
 
Il futuro ci attende, oh sì: lo abbiamo già detto. Resta in agguato: al varco stesso della nostra follia. E dietro all’angolo, in questo caso, ci sono incubi di metallo e carne e sangue. Ma non solo. In un mondo dove imperano i residui malati, ricambi di tessuti morti e computer in decomposizione, anche il nemico si trasforma, muta. Diventa altro. E la metafora può diventare costruttiva e distruttiva, azioni spesso coincidenti, mostrandoci un’ipotesi, un punto di vista. Ricordare come se fosse domani, certo.
 
La visione  di Tonani si presenta con i pixel accentuati di una telemetria variabile, punti di collimazione lineare e zoomate veloci, gli occhi artificiali di un robot nel corpo di un cadavere. Una delle icone più importanti e significative dell’immaginario horror del ventesimo secolo, il mostro dei mostri, proletario e rivoluzionario è senz’altro lo zombi, il morto vivente, con buona pace di serial tv come Walking dead e le rimembranze romeriane, le metafore si esplicano prepotenti, la marcescenza interiore che ormai sembra spettarci di diritto, l’autolisi che infetta la nostra libera (?) società dei consumi, cadaverica e fintamente opulenta… Morti che camminano troppo lenti ma che riescono sempre a raggiungerci per divorarci tutti… Viventi e morenti come le nostre anime.
 
Poi esiste quella  branca (branchia?) della Science Fiction cinematografica che descrive le gesta di androidi e replicanti, robot di metallo liquido o peggio. Con il buon Schwarzenegger, a proposito di vecchi ricordi: nel cartellone pubblicitario che impugna la semiautomatica Colt 45 con canna di 10 pollici e ci fissa con quell’occhio rosso e graduato come di un mirino telescopico, giubbotto di pelle e cipiglio da brutto canchero. Ecco: proviamo a unire tutto ciò e immaginiamoci…
 
 “…Cadaveri restituiti alla vita da un sofisticato microchip in grado di ripristinare e mantenere in efficienza un metabolismo elementare…”
 
Poi inseriamo il prodotto di risulta dentro un contesto allucinato da guerra eterna che dura segretamente da anni e che continua nel terzo millennio avanzato.
 
 “…Erano i soldati che ogni esercito avrebbe desiderato: infaticabili, efficienti, privi di moralità, solidali l’uno con l’altro. Ma soprattutto insensibili alla morte. Perché già morti. La mossa e la contromossa, la tattica e la strategia, l’azione e la reazione..”
 
Mescoliamo e agitiamo con forza, of course. Quello che ne esce è un appassionante prodotto ibrido fra gli ibridi, assolutamente originale. Fortissimamente WAR – parafrasando il termine guerra – la traduzione di una sigla che definisce perfettamente la creatura in oggetto/soggetto, lo zombi soldato e automa, macchine in un abito di carne morta, così come l’ulteriore evoluzione in progress dei Poliarmoidi: palline di osso ambulanti letali quanto grottesche. Weapon Androids Robots per servirvi amici vicini e  lontani!
 
 “…budini ambulanti, trattenuti dalle zip delle loro tute da combattimento…”
“…Torrette multiple scolpite nell’osso e robuste zampette da pollo piene di snodi e articolazioni…”
 
Conservare umanità in tutto ciò, e restare comunque fedeli e avvinti alle emozioni di compassione e dignità è la sfida successiva. Alla fine il cuore resta sempre lì a battere, anche dentro un guscio di metallo o altro. Un vagito di speranza forse. Magari un grido. Un urlo straziante che ci assorda e ci sveglia. Così possiamo ripensare al futuro, immaginarlo come se fosse un ricordo. Con un groppo alla gola. E alzare calici pieni fino all’orlo di pezzi di ricambio, tessuti molli, pelle, mucose, cartilagini, sangue ossigenato e brindare all’uomo del domani, (tra)passato da morire. Al limite tirare lo sciacquone…
 
 “Alla faccia degli ideali di gloria, la Patria, la Bandiera per lasciare posto alle frattaglie: hamburger di intestini, ragù di schegge, carne da macello…”
Alla fine resterà solo un applauso scrosciante.
 
In onore al merito, per questo autore: Dario Tonani, straordinario veggente, terminator della malinconia.